Primo Levi at Fossoli

Primo Levi was dismissed from the camp at Fossoli and put aboard the train that was to take him from the station at Carpi to Auschwitz on February 22, 1944. Right before he left, he clearly saw a RSI gendarme on the platform who was guarding the prisoners, a living proof that the Italian Fascists were participating and cooperating fully in the deportation of Jews to Nazi Germany. Massimo Dini and Stefano Jesurum recount the exchange of words that took place then on that day in Primo Levi. Le opere e i giorni (1992) [Primo Levi: Works and Days].

L’alba ci colse come un tradimento

This episode comes back to our attention in Liliana Picciotto’s new book L’alba ci colse come un tradimento (Mondadori, Milan 2010). The title – meaning “the dawn struck us like a betrayal” – is a quotation from Levi. The book is dedicated to the «Jews in the camp at Fossoli, 1943-44». Picciotto presents the readers with a wealth of newly discovered information that shows the daily working relationship between the Italian and German authorities in the management of the camp in precise and concrete details. This was the camp where Jews from all parts of Italy under the control of the Social Republic were gathered together after they were arrested and before they were deported to Germany. A noteworthy example of this cooperation is the fact that the Italians were still managing the camp when Primo Levi was forced to board the train and leave Fossoli. This is further proof that the Nazis were able to count on fully aware Italian collaboration for their projects in our country for the “final solution”.

Liliana Picciotto’s book is one more confirmation of a hypothesis that had been fought against by a number of historians for clearly political reasons. In fact, documents are yet to be found that explicitly stipulate in writing any agreements between the Italian and German authorities in relation to the deportation of the Jews. Nonetheless, the Social Republic police force participated fully in the arrests. Furthermore, as this book demonstrates, the Fossoli transit camp, which served to move the victims on to their annihilation, was managed jointly. These facts are enough definitely to refute any kind of hypothesis aimed at blaming only the Nazis – or almost only – for the destruction of over 7000 Italian Jews.

All this was crystal clear and undeniable to the eyewitnesses of that time and, more meaningfully, to the victims. It was clear primarily to Primo Levi. With his look, an attentive observer, he was able to see into things and remember the deeper meaning of the events that were happening to him and around him. Ironically enough, historians were able to demonstrate this without a shadow of a doubt only after thorough research and harsh clash with opposing hypotheses. This something that is striking.

FL

«Il 21 febbraio 1944 gli ebrei di Fossoli sanno: domani saranno tutti deportati. Dove non è chiaro, però il consiglio che ricevono è di prepararsi a quindici giorni di viaggio. Non c’è niente da fare, né da discutere: per ognuno che fosse mancato all’appello ne sarebbero stati fucilati dieci, gli ordini sono ordini.
Nelle baracche, quella notte trascorre in un collettivo, allucinante, addio alla vita. Chi invoca il Kadòsh Baruch hu, il Signore Benedetto Egli sia, chi si ubriaca e si abbrutisce, chi si lascia andare preda della disperazione, chi cercanell’oblio della passione l’ultimo conforto. Le madri vegliano fino all’alba, frenetiche e premurose, mettendo insieme il necessario per la partenza: preparano le valigie, lavano accuratamente i bambini, fanno il bucato, cucinano focacce, raccolgono fasce, giocattoli, cuscini.
Stanno perdendo se stessi, stanno abbandonando l’esistenza terrena; qualcuno si dedica al lutto secondo la tradizione ebraica. Scalzi, le donne con i capelli sciolti, le candele dei morti accese e sparse per terra un poco ovunque, pregano e piangono. Il campo si riempie di fantasmi folli.
La mattina del 22, dopo un interminabile elenco, nome per nome, quando la lista della morte è stata controllata nei dettagli e i circa seicento «pezzi» sono tutti presenti e regolarmente registrati, Primo Levi e gli altri vengono spinti dai fascisti su alcuni camion delle SS che li devono trasportare da Fossoli alla stazione ferroviaria di Carpi.
I tedeschi fanno da scorta, bastonanno col calcio del fucile quelli che si attardano, che camminano lenti, che si fermano ad aspettare un parente o un amico. Lo shock delle percosse è immenso. Allora è proprio vero, è come ai tempi dei pogrom zaristi, delle persecuzioni papaline, dei roghi dell’Inquisizione. La memoria corre alle umiliazioni millenarie subìte dal Popolo di Dio.
Il prigioniero Levi guarda uno dei gendarmi, un emiliano dai lineamenti regolari, e gli dice: “Si ricordi di quello che sta vedendo, si ricordi che lei ne è complice, e si comporti di conseguenza”.
L’uomo, con l’espressione del viso impietrita dal terrore, lo accompagna a prendere un po’ d’acqua, preziosa, alla fontanella che sta all’inizio dei binari. “Ma che cosa posso fare io?” chiede con voce smarrita. “Faccia il ladro, è molto più onesto” gli risponde semplicemente la sua vittima».

M. Dini, S. Jesurum, Primo Levi. Le opere e i giorni, Rizzoli, Milano 1992, pp. 37-8.


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