In ricordo di Stuart Woolf

Il 1° maggio è mancato Stuart Woolf. Storico insigne, fu il primo traduttore in inglese di Se questo è un uomo.

In omaggio alla sua memoria, riportiamo qui di seguito un estratto dell’articolo Tradurre Primo Levi pubblicato su “Belfagor” il 30 novembre 2009 (anno LXIV, fascicolo 6), al quale si rimanda per la lettura completa.

Appena conclusi i miei esami finali all'università di Oxford, nel 1956, dopo aver saputo di essere stato accettato per il dottorato, venni in Italia. Avevo già studiato l'italiano due volte — senza gran risultato — a Firenze nell'estate prima di andare a Oxford e poi da studente universitario, per seguire un corso sul Rinascimento con testi in italiano. Avevo un'idea chiara dell'argomento della mia futura ricerca, e riguardava l'area mediterranea. Da studente mi aveva appassionato il dibattito accademico fra due degli storici inglesi più noti, Hugh Trevor-Roper e Lawrence Stone, sulla nobiltà nell'Inghilterra del Seicento; mi proponevo di studiare questo tema nel contesto dell'Europa mediterranea. Ero poi finito a Torino, città che allora, prima del miracolo economico, contava solo mezzo milione di abitanti e dove i turisti erano pochi e soprattutto francesi.

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Torino si rivelò molto ospitale, soprattutto verso un giovane inglese di Oxford, e mi feci parecchi amici. Il testo originale di Se questo è un uomo era stato rifiutato da Einaudi, ma pubblicato da un piccolo editore torinese, De Silva, di Franco Antonicelli (antifascista e partigiano come Venturi); circolava negli ambienti culturali torinesi, ma non altrettanto nel resto d'Italia. Un'amica me ne prestò una copia che lessi nel mio primo anno a Torino e ne fui molto colpito. Avevo conosciuto Anna Debenedetti (la mia futura moglie) e la sua famiglia, incluso suo zio Leonardo Debenedetti, che era tornato da Auschwitz con Primo Levi. A Leonardo, che abitava allora in casa dei cognati, Primo portava da leggere, man mano che li scriveva, quelli che sarebbero stati i vari capitoli di Se questo è un uomo, e che Anna ricorda di aver letto su foglietti dattilografati fitti fitti. Con l'ingenuità della gioventú, credo di aver deciso subito di tradurre il libro, ma certo non mi era nemmeno venuto in mente di cercare un editore. La mia impressione era, ed è ancora, che fino a dopo il processo Eichmann (1961), forse fino agli anni Settanta, in Inghilterra — a parte l'ambiente ebraico — si sapeva poco dell'Olocausto. Ero quindi convinto (senza dubbio per il fatto di essere ebreo) che era importante che gli inglesi leggessero Se questo è un uomo.

La famiglia Debenedetti mi fece conoscere Primo, che era evidentemente felice all'idea che il libro uscisse in inglese, senza interrogarsi sulle mie capacità di traduttore — del resto non ne sapevo nulla nemmeno io. Mi disse che il libro era stato tradotto in francese ma che non ne era per niente soddisfatto: forse per questa ragione mi propose di lavorare a stretto contatto alla traduzione. Combinammo di incontrarci regolarmente dopo cena a casa sua (girato l'angolo della casa dei Debenedetti). I suoi orari dipendevano dal suo lavoro di chimico industriale in una fabbrica a Settimo, appena fuori Torino. Da parte mia, avevo bisogno di utilizzare le ore di apertura (per me, venendo da Oxford, assurde) degli archivi e delle biblioteche di Torino — dalle 9 alle 14 per l'Archivio di Stato, dalle 9 alle 12, con riapertura soltanto dalle 15 alle 18 per le biblioteche principali. In pratica non mi rimanevano per la traduzione che le serate, i saba­ti e le domeniche: poche pagine alla settimana. Ci siamo visti martedí e giovedí sera, per un anno intero, forse piú. L'impegno di incontrarci regolarmente ebbe l'effetto di obbligarmi a non interrompere il ritmo della traduzione. Questo lavoro non mi è mai sembrato un peso, certo non nel senso della splendida descrizione di Luciano Bianciardi nella Vita agra, di dover produrre una quota giornaliera di pagine: cosa che mi è successa piú tardi con altre traduzioni nel mio campo professionale di storico.

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Stuart Woolf, Tradurre Primo Levi, in "Belfagor", 30 novembre 2009 (anno LXIV, fascicolo 6), pp. 699-705


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