Intervista a Marco Belpoliti
Primo Levi, Opere complete, Torino, Einaudi, 2016, 2 voll.
Intervista a Marco Belpoliti a cura del Centro Internazionale di Studi Primo Levi
La nuova edizione delle Opere complete di Primo Levi è in libreria. Sono due volumi per un totale di oltre 3.000 pagine. Sovraccoperta bianca, molto einaudiana, formato grande, rilegatura cartonata; costano 160 euro e vengono venduti insieme. Un’impresa editoriale che Einaudi ha dedicato al suo autore oggi più conosciuto, non solo in Italia, ma nel mondo. I due volumi contengono varie novità, oltre a un apparato di Note ai testi curato da Marco Belpoliti, studioso di Levi, che ha curato anche l’edizione precedente delle Opere, uscita nel 1997. Gli abbiamo posto una serie di domande su questo lavoro.
Esce a novembre 2016 un nuova edizione delle opere di Primo Levi, Opere complete (Einaudi). Stesso editore, stesso curatore, titolo quasi uguale a Opere, uscito nel 1997. Ci sono voluti poco meno di vent’anni per un aggettivo in più. Cosa implica l’aggiunta?
Nel decennio seguito alla morte dello scrittore sono usciti tre volumi, curati da me: uno d’interviste, Conversazioni e interviste; la raccolta dei racconti dispersi, L’ultimo Natale di guerra,e una scelta delle pagine sparse presenti nelle Opere del 1997, pubblicate in un volume tascabile intitolato L’asimmetria e la vita. Più recentemente sono usciti altri due volumi: Così fu Auschwitz, che raccoglie testi sparsi e deposizioni, a cura di Fabio Levi e Domenico Scarpa, e la raccolta Ranocchi sulla Luna, dedicata agli animali e curata da Ernesto Ferrero. Quest’ultimo volume presenta una scelta di pagine già presenti in Opere del 1997, ma utile per chi non conosceva la passione di Levi per gli animali. Così com’è stato in progress il lavoro di Levi, partendo dalla prima edizione del 1947 di Se questo è un uomo, così negli ultimi venti anni c'è stata una progressiva messa a fuoco critica ed editoriale del suo lavoro. Nella nuova edizione delle opere ci sono le riduzioni radiofoniche di Se questo è un uomo e La tregua, la versione teatrale del suo primo libro, le tesi di laurea (tesi e sottotesi) in anastatica, e almeno 16 testi dispersi recuperati grazie al prezioso lavoro del Centro studi Primo Levi, oltre alle note scritte da Levi per le edizioni scolastiche di tre suoi libri, molto significative. Ma la vera novità sono le Note ai testi, 200 pagine, che ho approntato per questa edizione, e sono in gran parte nuove. Ho potuto far tesoro di venti anni di ricerche ulteriori rispetto al 1997, ricerche mie e di altri. E soprattutto ho potuto lavorare sui dattiloscritti delle prime opere di Levi, che in passato non erano accessibili; ora, dopo il lavoro di ordinamento dell’Archivio Einaudi, lo sono. Contengono molte novità nella storia dei testi, in particolare di Se questo è un uomo e della Tregua, su come Levi ha scritto questi due libri e i successivi, sono evidenziate numerose varianti, per far capire il metodo-Levi.
Allora in questa edizione ci sarà davvero tutto? Esistono materiali che non è stato possibile pubblicare?
I testi “nuovi” inseriti nel volume provengono in parte dall’Archivio Einaudi e in parte dalle ricerche di varie persone che fanno capo al Centro Internazionale di Studi Primo Levi, o anche da ritrovamenti casuali. Nulla proviene dall’archivio personale di Primo Levi. Niente dalle sue cartelline né dai raccoglitori, che ordinava con grande cura e attenzione. Mancano all’appello le lettere ricevute dai lettori tedeschi dopo l’uscita negli anni Sessanta della edizione tedesca di Se questo è un uomo e le sue risposte, un libro che voleva comporre negli anni Sessanta e che avrebbe dovuto costituire un vero volume. Lo aveva proposto a Einaudi ma, come sappiamo, l’editore torinese non lo fece. Ne resta un piccolo assaggio nel capitolo “Lettere di tedeschi” in I sommersi e i salvati. Mancano anche i quattro o forse più racconti terminati che componevano il suo libro ultimo, in corso di stesura nel 1987: Doppio legame. Anche se sul suo titolo non c’è certezza. I capitoli che ho potuto leggere sono belli: si tratta di un romanzo epistolare in cui il protagonista si rivolge a una gentile signora e le racconta vicende della chimica quotidiana, per esempio come diventa sodo un uovo, ma anche dettagli della sua vita personale passata. Una specie di autobiografia romanzata che fa venire in mente le pagine autobiografiche di Italo Calvino, quelle che conosciamo con il titolo La strada di San Giovanni, volume dove sono raccolti alcuni racconti della sua “autobiografia senza io”. I racconti di Primo Levi sono una specie di Sistema periodico scritto da un uomo anziano. Speriamo che prima o poi li si possa leggere in volume. E in quelle cartelle che Levi conservava con tanto rigore ci saranno anche altre cose. Insomma si tratta di Opere complete in progress, come ho detto prima. Anche se il più c’è, e si tratta di materiale edito, ed è molto, e importante.
Rispetto alla prima edizione delle Opere si sono aggiunte moltissime pagine nuove, o inedite o comunque prima non accessibili. Erano davvero non conosciute?
La prima edizione comprendeva oltre 400 pagine prima “disperse”: articoli di giornale, racconti, poesie, saggi. Le abbiamo chiamate “Pagine sparse”. Oggi cercando ancora in archivi, presso amici, dagli spogli delle riviste, è emerso un altro mazzo. Ci sono testi interessanti, tuttavia sono di corona alle opere maggiori, perché è là che Levi si esprime al massimo livello. Spesso gli scritti brevi e dispersi, molti dei quali mai da lui raccolti in volume, sono interventi legati all’attualità, oppure messe a punto parziali di temi maggiori, racconti sparsi e qualche poesia. Sono lavori interessanti, che possono illuminare alcuni aspetti della sua opera, ma credo che per un lettore queste pagine non risulteranno decisive, mentre i ricercatori e gli studiosi troveranno materiale per suffragare le loro indagini e avviarne altre. Dobbiamo renderci conto che il Levi meno conosciuto è ancora quello dei libri. Strano vero? Eppure non è stato letto tutto e non da tutti.
Come possiamo oggi giudicare l’opera di Levi anche alla luce di questa nuova edizione?
Levi è uno scrittore complesso. Questo ha reso più lenta la sua comprensione, ma al tempo stesso ne ha assicurato la resistenza alle mode passeggere, proprio perché non si possono fare facilmente i conti con la sua opera. Credo sia questa la coscienza principale acquisita in questi venti anni trascorsi dall'edizione precedente delle opere. Occorrono tempo e pazienza. Il suo lavoro è un deposito enorme di conoscenze, intuizioni, approfondimenti, saperi, idee, ricerche, ipotesi, domande e molto altro. Nel 1997 è avvenuta la prima svolta che ha portato Levi in una dimensione diversa: non più solo il testimone, ma anche lo scrittore. Va riconosciuto che già diversi lettori se ne erano accorti da tempo, a partire dai lettori non specialisti, ma si trattava di una consapevolezza distribuita a macchia di leopardo, non di una convinzione comune e collettiva.
Le Opere nel 1997 hanno offerto una visione d’insieme più completa ponendo lo scrittore accanto al testimone: non si poteva più a quel punto ignorare la forza del suo lavoro letterario e occorreva mettere insieme le due cose. Un’intera generazione di giovani studiosi nel 1997 aveva elaborato una visione più ricca dell’autore di Se questo è un uomo e La tregua, che fino ad allora restavano le opere più conosciute dell’ex deportato, libri come L’altrui mestiere, Ad ora incerta, La ricerca delle radici erano poco letti. Quest'ultimo è entrato nelle opere del 1997, e solo per il rotto della cuffia, in appendice e in corpo minore. L’editore non lo riconosceva come un suo libro tanto da includerlo in ordine cronologico nelle Opere, mentre è invece un suo perfetto autoritratto, e non è presente neppure nelle opere edite da poco in America da Ann Goldstein. Un altro esempio è il cosiddetto Rapporto su Auschwitz, scoperto da Alberto Cavaglion, che è entrato nelle Opere nel 1997 ed è diventato grazie alla sua recente ripubblicazione in volume un incunabolo della sua testimonianza.
Con l’uscita di novembre le Opere sono quindi davvero complete?
No, mancano ancora le interviste. Sono un materiale straordinario, perché Levi era un parlatore, un affascinante narratore orale. Diventeranno il terzo volume delle Opere, ci sto lavorando in questi mesi e uscirà il prossimo anno. Oggi che su YouTube si possono vedere e soprattutto sentire le sue interviste televisive, ci si accorge che Levi ha il dono della parola, una parola che però non assomiglia a quella dei narratori orali, quelli delle fiabe o dei racconti cavallereschi. Quando parla sembra che tragga da un libro le parole che dice, sembra che siano già stampate, che stia leggendo e invece improvvisa, ma in un modo molto elegante e quasi perfetto. Ho raccolto nel corso degli anni le interviste uscite su giornali e periodici ed esistono volumetti di conversazioni. Avevo già composto un volume nel 1997 con le principali interviste ma ora si pensa di offrire una scelta più ampia, anche se non so ancora a quante pagine si arriverà. Anche facendo una scelta oculata si potrebbe pubblicare un volume di oltre 700 pagine di conversazioni, che non sono affatto ripetitive: spesso dice la stessa cosa ma in modi diversi, oppure aggiunge dettagli o particolari che non ci sono nei libri, fa riflessioni interessanti. Parla di tutto, ma sempre con competenza, serietà e in modo profondo. Poi ci sarebbero le lettere, a partire da quelle al suo traduttore tedesco, Heinz Riedt, che circolano in forma fotocopiata da tempo. Di recente le ho viste in mano a un giornalista trentino che aveva scritto un articolo sul docente di tedesco al Goethe Institut di Torino, cui Levi le aveva evidentemente date. Sono straordinarie, e sono bellissime le lettere a Hety Schmitt-Maass, la sua corrispondente tedesca, con cui si scrive per due decenni e di cui ho parlato nel mio libro Primo Levi di fronte e di profilo uscito lo scorso anno. E poi ancora le lettere agli amici vicini e lontani, ai suoi traduttori, ai recensori. Un epistolario straordinario che quando sarà raccolto andrà ad arricchire la sua figura e si configura come la scoperta di un’umanità straordinaria.
Il lavoro fatto per le Opere del 1997 e per la seconda edizione del 2016 può essere considerato filologico?
Nella “Avvertenza del curatore” l’ho scritto con molta chiarezza venti anni fa e lo ripeto ancora oggi nella nuova nota che introduce le Opere complete: questa non è un’edizione filologica, non può esserlo. Occorrerebbero i manoscritti e i dattiloscritti completi di Levi, che non sono ancora disponibili, che sono ancora consegnati alle sue cartelline e raccoglitori. Così si saprebbe meglio come ha lavorato. Ma credo di poter dire che tra l’edizione del 1997 e quella di oggi molte cose sono evidenti, così come le ho raccontate nelle mie note di “filologia narrativa”. Si vede come ha lavorato intorno a Se questo è un uomo partendo dal primo abbozzo di fogli mandato a Anna Yona, la cugina che vive in America: sono 10 capitoli sui 17 finali. Poi ci sono i quaderni manoscritti del primo libro che Giovanni Tesio ha potuto vedere, e di cui resta memoria in un suo saggio; lì sono appuntate le parti nuove che ha introdotto nella versione del 1958 per Einaudi. Tesio poi ha conservato per quasi trent’anni il quaderno manoscritto della Tregua ricevuto da Levi per le sue ricerche; finora non è stato possibile a nessun studioso utilizzare questo quaderno. Neppure io ho potuto vederlo e neppure usarlo per questa edizione. Tuttavia ho lavorato sul dattiloscritto consegnato a Einaudi, dove sono visibili molte correzioni sotto forma di fogli incollati sopra pagine di precedenti stesure, con parecchie varianti, cancellazioni, sovrascritture. Ho potuto leggere le parti cassate nel dattiloscritto consegnato a Einaudi; in questo modo ho raccontato come Levi abbia elaborato il suo secondo libro. Le Note sono scritte in modo che anche i lettori non specialisti potranno seguire il romanzo in progress dei suoi libri. Aggiungo però una cosa importante: il lavoro filologico sulle opere di Levi, con tanto di variantistica, non è detto che sia ciò di cui ha davvero bisogno uno scrittore come lui, così legato all’esperienza concentrazionaria. Spesso il risultato filologico su autori che hanno lavorato con correzioni e varianti, anche molto più di Levi, spesso sono dei puri letterati, risulta eccessivo e gravoso, buono per gli addetti ai lavori non per i lettori.
Le Opere complete contano quasi 3.500 pagine, apparati critici compresi. Se dovesse indicare ai lettori delle “porte d’ingresso” a Primo Levi, sia fra le pagine già accessibili in passato, o che si aprono oggi per la prima volta, quali suggerirebbe?
La porta d’ingresso è Se questo è un uomo edizione 1947. Levi torna da Auschwitz e comincia a scrivere Se questo è un uomo senza un indice ancora preciso, capitoli a sé, come i racconti già fatti a voce agli amici. Nelle note ai testi delle Opere del 1997 veniva raccontata – sono note narrative, non di filologia in senso stretto, come ho detto – l’invenzione di se stesso come scrittore. Il lavoro di stesura del primo libro appariva più complesso e intricato rispetto a quanto Levi stesso aveva detto, o avvalorato, in precedenza, il che mostra come si tratti di uno scrittore vero, non di un testimone che mette su carta ciò che ha vissuto o visto in modo diretto, senza quasi mediazioni. Ci ha lavorato molto e in modo originale. Voleva essere uno scrittore e non solo un testimone tout court. L’aveva detto ma non era stato creduto davvero e ora nelle nuove Note ai testi, che ho per la maggior parte scritte appositamente per questi due volumi, viene messo ulteriormente a fuoco il suo lavoro di scrittore. I lettori possono così vedere come Levi abbia lavorato, tra l’edizione del 1947 e quella del 1958, con aggiunte e varianti. Per queste nuove note ho utilizzato il “dattiloscritto” di Se questo è un uomo edizione 1958. Levi ha consegnato a Einaudi la copia dell'edizione 1947 stampata da De Silva, che aveva donato alla moglie (con tanto di dedica a matita rossa nelle prime pagine), cui ha aggiunto fogli dattiloscritti, striscioline di carta, varianti e aggiunte. Un modo interessante di lavorare al vecchio testo senza ribattere tutto; non è solo una scelta di economia di tempo e spazio, ma anche un modo personale per aggiungere (e qualche volta togliere, ma molto meno) brani nuovi. Sono aggiunte che corrispondono a messe a fuoco progressive, a ricordi riemersi, a dettagli perfezionati. E ci sono tra queste aggiunte fondamentali. È una cosa importante che finalmente Einaudi abbia accettato di pubblicare l’edizione del 1947 in apertura del primo volume e non in appendice: i lettori potranno finalmente conoscere la prima opera del giovane ex deportato torinese. È lo stesso libro, ma non è lo stesso libro. La seconda porta d’ingresso è Il sistema periodico, libro cerniera della sua opera, in cui mette a fuoco la seconda fonte del suo lavoro di scrittore: la chimica e poi il lavoro. È qui che si trova una delle chiavi di comprensione di Levi e nella nota a questo testo ho cercato di entrare empaticamente nella sua mente di scrittore per capire come avesse risolto la “crisi” di scrittura che lo aveva attanagliato dopo i due primi libri e quelli di racconti, tutti e quattro parte del suo bagaglio di scrittore sin dal 1946. Con quel libro fondato sulla Tavola periodica degli elementi si è reinventato come scrittore. Una seconda volta. Non era scontato che lo potesse fare ma l’ha fatto. E anche molto bene. Ho cercato di mostrare come uno scrittore complesso come lui si reinventi più e più volte.
Sin qui abbiamo sempre colto la continuità della sua opera, ma c’è anche una discontinuità, che è altrettanto affascinante, intelligente e inventiva.
Ci sono aspetti di Levi ancora troppo poco studiati?
Con Mario Barenghi di recente ho organizzato un convegno su Primo Levi etologo e antropologo, due aspetti importanti che grazie a quell'occasione sono stati scandagliati maggiormente. Ma restano ancora tante cose da studiare del “poliedro-Levi”. Nonostante tanti libri dedicati al suo rapporto con la scienza e la tecnica, penso per esempio ai bei saggi di Mario Porro, c’è ancora da mettere a fuoco il suo approccio alla chimica, magari esaminando i rapportini che Levi redigeva alla Siva alla fine di una settimana di lavoro, e che lui dice essere stati un modello importante per lui, per lo sviluppo della sua prosa. Ma quanti chimici che conoscono bene il mestiere, possiedono anche strumenti letterari? E anche il contrario: quanti critici letterari conoscono la chimica così da cogliere l’importanza di sue affermazioni ne Il sistema periodico o anche in La chiave a stella riguardo il montaggio delle molecole? Primo Levi era complesso e questo spiega la difficoltà a leggere il suo lavoro, anche se poi come scrittore è evidentissimo: chiaro ed efficace.
Spesso basta leggere le sue pagine con attenzione, come fanno milioni di persone in tutto il mondo.
Un’ultima cosa che forse è la più importante per il futuro: dopo aver mostrato lo scrittore che rende efficace la testimonianza, e che scrive libri narrativi al di là della testimonianza stessa, un vero scrittore, bisogna riportare lo scrittore nel campo del testimone. Detto altrimenti, capire come si rapportano tra loro la testimonianza e la letteratura, che cosa significa “arrotondare” le storie come diceva Levi stesso. Si tratta di un tema non facile e spesso ritenuto “scandaloso”, ma essenziale: il rapporto tra invenzione letteraria e testimonianza, l’uso della fiction per testimoniare. L’ha detto bene Mario Barenghi in una “Lezione Levi”: crediamo a Primo Levi perché è uno scrittore. Adesso bisogna spiegare cosa significa questo. Aprirà un campo nuovo anche alla letteratura e darà un nuovo statuto di verità alla stessa testimonianza. Questo è il compito della critica futura. Un compito prezioso per Levi ma anche per noi.