Se questo è un uomo - edizione 1958

Se questo è un uomo - edizione 1958
Autore
Primo Levi
Editore
Einaudi
Collana
Saggi
Anno di pubblicazione
1958

Tra l’edizione originaria del 1947 e la sua nuova versione del 1958, l’opera prima di Levi percorre un lungo itinerario: a una temporanea eclissi del tema della Shoah fa riscontro la crescita del testo, che si arricchisce di nuovi episodi. A partire da questa edizione definitiva, pubblicata da Einaudi, Se questo è un uomo si andrà affermando in Italia e nel mondo come un’opera letteraria e testimoniale fra le maggiori del Novecento.

1. Anni di silenzio e di scritture

Nell’aprile 1955 Levi comincia con queste parole un articolo intitolato Anniversario:

A dieci anni dalla liberazione dei Lager, è triste e significativo dover constatare che, almeno in Italia, l’argomento dei campi di sterminio, lungi dall’essere diventato storia, si avvia alla più completa dimenticanza1Primo Levi, Anniversario, «Torino. Rivista mensile della città», XXXI, 4, aprile 1955, numero speciale dedicato al decennale della Liberazione, pp. 53-54; ora in Id., Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, vol. I, Einaudi, Torino 2016, pp. 1291-93, a p. 1291. .

I primi anni cinquanta del Novecento sono il periodo di minore fortuna per la memoria dello sterminio, e sono anni di silenzio per la sua elaborazione in sede storica: un silenzio che Anniversario denuncia come frutto di «cattiva coscienza». Durante gran parte di quel decennio Levi è accompagnato da una sensazione di sconfitta: salvo che per Anniversario e per poche brevi recensioni, la sua firma scompare per otto anni a partire dall’estate 1950.

Questa situazione, tuttavia, non impedisce a Levi di proseguire il lavoro letterario: continua a comporre, sia pure di rado, poesie in versi, ma soprattutto imbastisce i primi racconti sul lavoro artigiano e il lavoro in fabbrica (diventeranno «Titanio» e «Zolfo» nel Sistema periodico), e soprattutto immagina storie insolite per il panorama letterario italiano del tempo: la prima, scritta nel 1946, esce il 19 dicembre 1948 sul quotidiano romano «L’Italia Socialista», nato dalla diaspora del Partito d’azione ormai disciolto. Il titolo è I mnemagoghi: la parola, un neologismo coniato da Levi, significa “conduttori (o suscitatori) di ricordi”, e allude agli odori, che nella vicenda hanno appunto questo potere. I mnemagoghi – che nel 1966 aprirà la prima raccolta di racconti fantastici di Levi, pubblicata da Einaudi con lo pseudonimo Damiano Malabaila – è fra i primi esemplari italiani di fantascienza: una fantascienza atipica, praticata da Levi quando il termine fantascienza è ancora di là dall’essere coniato.

Ai Mnemagoghi seguiranno, concluse o solo abbozzate, altre storie dello stesso genere, in forma narrativa o teatrale: fra esse, La bella addormentata nel frigo e Il sesto giorno, pure destinate a confluire in Storie naturali. Ma Levi stende anche, a quanto risulta2Lina Zargani, Il sistema periodico, intervista a Primo Levi (primavera 1975), «Lettera internazionale», XXIII, 93, terzo trimestre 2007; ora, con testo riveduto sul dattiloscritto originale dell’autrice, in Opere complete cit., vol. III, Conversazioni, interviste, dichiarazioni, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino 2018, pp. 913-16, a p. 913. , una prima versione del racconto dedicato ai propri antenati ebraico-piemontesi, il futuro «Argon» che aprirà Il sistema periodico, e mette su carta i primi episodi del suo viaggio di ritorno da Auschwitz; infine, pubblica nel 1949 un racconto, anch’esso atipico, di guerriglia partigiana, Fine del Marinese: appare sul fascicolo, datato agosto-settembre 1949, che la rivista fiorentina «Il Ponte» dedica al Piemonte.

Gli undici anni che intercorrono fra il 1948 e il 1958 sono dunque anni di silenzio e di delusioni nel campo civile, ma sono anche anni di scritture, le più varie, che Levi ha avviato in simultanea con la stesura di Se questo è un uomo; se pure al momento esse restano incompiute o inedite, e se pure non s’inseriscono in alcun progetto letterario definito, troveranno una collocazione a distanza magari di venti o di trent’anni, come avverrà per I mnemagoghi e per «Argon».

2. Scritture e climi editoriali

Benché Levi prosegua a tempo pieno il lavoro come chimico delle vernici (nell’aprile 1948 ha cambiato azienda: dalla Montecatini-Duco è passato alla Siva, Società italiana vernici e affini, con sede dapprima a Torino e  dal 1953 a Settimo Torinese), nel tempo libero allarga la propria attività di scrittore, che non si limita affatto, come s’è appena visto, a testi di memoria o di testimonianza.

Nemmeno la speranza di dare una vita ulteriore – e una più larga diffusione – a Se questo è un uomo è stata abbandonata: malgrado le copie residue del volume giacciano a Firenze nei magazzini della Nuova Italia, nel 1952 Levi si rivolge una seconda volta a Einaudi, per le cui Edizioni Scientifiche (ESE) va svolgendo un intenso lavoro come consulente e traduttore. Sarà appunto il direttore di questo comparto, Paolo Boringhieri, a prendere un’iniziativa che nella sua carriera resterà un caso unico: caldeggiare la pubblicazione di un’opera il cui tema non è di sua pertinenza. Nel verbale delle riunioni del Consiglio editoriale Einaudi per il 16 e 23 luglio 1952 si legge infatti:

Se questo è un uomo di Primo Levi: Boringhieri riferisce che Primo Levi, il quale è anche ottimo traduttore di libri scientifici, vorrebbe sapere se noi saremmo disposti a fare una nuova edizione di Se questo è un uomo, pubblicato da De Silva e ormai quasi esaurito. Il Consiglio sarebbe favorevole, ma [Giulio] Einaudi fa osservare che, da un punto di vista commerciale, la casa De Silva fu acquistata tempo fa da La Nuova Italia e che perciò la pubblicazione da parte nostra di una nuova edizione del bel libro di Primo Levi, già passato per le mani di due editori, non avrebbe molta probabilità di successo. Nessuna decisione viene presa al riguardo3I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi, 1943-1952, a cura di Tommaso Munari, Einaudi, Torino 2011, pp. 426-30, a p. 428. .

I verbali editoriali sono documenti dove nessuna parola è superflua: nel 1952 casa Einaudi ha dunque maturato la consapevolezza che quello di Levi è un «bel libro»; sono considerazioni di mercato a sconsigliarne la pubblicazione. Nel 1952 non è cominciata ancora, né in Europa né tantomeno in Italia, l’ondata di pubblicazioni sul nazismo e sullo sterminio ebraico che si registrerà di lì a un paio d’anni.

Malgrado in Anniversario Levi si lascia andare al pessimismo, pur contrapponendovi un’ostinata necessità di testimoniare e, soprattutto, di capire Auschwitz, intorno alla metà degli anni cinquanta il clima comincia a cambiare; proprio Einaudi stampa nel 1954, con prefazione di Natalia Ginzburg, il Diario di Anne Frank, e l’anno successivo fa uscire – con il titolo Il nazismo e lo sterminio degli ebrei e nella traduzione di Anna Maria Levi, sorella di Primo – il Bréviaire de la haine dello storico franco-russo Léon Poliakov, mentre la neo-costituita casa editrice Feltrinelli include tra le sue prime pubblicazioni, sempre nel 1955, Il flagello della svastica, autore Lord Russell di Liverpool.

Primo Levi si sente così incoraggiato a proporre per la terza volta a Einaudi il suo «primogenito», finalmente con successo: il contratto porta la data dell’11 luglio 1955. La pubblicazione è prevista entro un anno, ma di lì a poco Einaudi si troverà a fronteggiare una grave crisi finanziaria, e a rinviare più di una volta la programmazione di Se questo è un uomo: che però, nel corso di quegli anni, ha in parte mutato la sua fisionomia.

3. Scritture integrative

Nel 1958, quando Einaudi mette finalmente in piano Se questo è un uomo, Primo Levi consegna alla casa editrice la sua copia personale (con dedica alla moglie Lucia) dell’edizione De Silva 1947. Su questa copia ha lavorato per integrazioni e ritocchi, assegnando loro una numerazione progressiva: quasi mai ha apportato correzioni di stile, ha fatto però molte aggiunte brevi e lunghe, eseguendole a matita o a penna sulle pagine stesse dell’edizione originaria, o battendole a macchina su cartigli (che ha poi incollato nei punti dove il testo andrà inserito) o ancora su fogli pure dattiloscritti, interpolandoli nel volume De Silva.

Benché tra la fine del 1947 e i primi mesi del 1958 Levi abbia avuto molto tempo a disposizione per ripensare la sua opera prima, la sua decisione è consistita nel non sconvolgerne l’assetto. Dai confronti più minuziosi finora eseguiti tra le due versioni4Giovanni Tesio, Su alcune giunte e varianti di «Se questo è un uomo» (1977), in Id., Piemonte letterario dell’Otto-Novecento. Da Giovanni Faldella a Primo Levi, Bulzoni, Roma 1991, pp. 173–96; Marco Belpoliti, Note ai testi, in Primo Levi, Opere complete cit., vol. I cit., pp. 1460-79.  emerge che, per quanto non si possa parlare di rifacimento, Se questo è un uomo-1947 si può considerare un’opera a sé, che come tale è stata difatti riproposta nel 2016 in apertura dei due volumi dove le edizioni Einaudi hanno raccolto, per le cure di Marco Belpoliti, le Opere complete di Levi.

Il lettore della versione Einaudi 1958 trova aggiunte cospicue già nel primo capitolo «Il viaggio»: la pagina d’apertura, che comprende un autoritratto d’autore e l’arrivo nel campo di Fossoli; più avanti, nello stesso capitolo, sono nuovi il ritratto della bambina Emilia e le considerazioni di Levi sulla dignità di chi viene mandato a morte sicura. Nuova e spiazzante anche la chiusa del capitolo, con la pagina sul milite ladruncolo delle SS: un «caronte» con iniziale minuscola che cerca di sottrarre ai deportati, per proprio privato profitto, gli ultimi averi. Nel successivo capitolo «Sul fondo» Levi aggiunge la scena del tatuaggio del numero di matricola, l’episodio del ghiacciolo proibito («Hier ist kein warum»), la fanfara che suona Rosamunda e l’incontro con il ragazzo Schlome, mentre in «Le nostre notti» sono nuove le tre pagine iniziali, che fungono anche da raccordo con il capitolo precedente: proprio queste pagine registrano la prima comparsa (e la correlativa descrizione fisico-morale) di Alberto, l’amico simbiotico, personaggio che nella versione 1958 acquisisce maggiori sfaccettature oltre a una presenza più assidua sulla scena del racconto.

In linea generale, sono i primi capitoli dell’opera a essere oggetto degli interventi più numerosi e più lunghi. Un’eccezione si trova nel capitolo «L’ultimo», e riguarda ancora una volta Alberto: sono nuovi i tre stratagemmi per la sopravvivenza (tra cui quello delle lime) ideati dai due amici-complici; nella versione 1958 di questo capitolo convivono dunque pagine picaresche e pagine drammatiche.

La novità più vistosa di Se questo è un uomo-1958 è però il breve capitolo che Levi incunea tra «Sul fondo» e «Ka-Be»; il suo titolo, significativo, è «Iniziazione», i suoi contenuti si bilanciano tra saggio e racconto. Con questa inserzione anche l’opera assume un nuovo e complessivo bilanciamento: in Se questo è un uomo-1958 i capitoli sono diciassette, e il cruciale «I sommersi e i salvati» (che, lo ricordiamo, era il titolo indicato dall’autore a De Silva) viene a occupare il nono posto, al centro esatto dell’opera. Il capitolo dedicato ai sopravviventi per forza o per astuzia assurge dunque a baricentro del libro, com’è appropriato che sia per queste pagine che, in capo a quattro decenni di nuove riflessioni, entreranno in risonanza con le pagine sulla «zona grigia» in un’opera che avrà lo stesso identico titolo: I sommersi e i salvati (Einaudi, 1986).

4. Se questo è un uomo, If This Is a Man, Survival in Auschwitz (e «J’étais un homme»)

Se questo è un uomo esce da Einaudi come n. 232 della collana «Saggi», con «finito di stampare» al 9 maggio 1958 e con un risvolto non firmato ma di Italo Calvino, che lo ricava dalla sua recensione del 1948 (si veda la scheda su Se questo è un uomo-1947). Per la sovracoperta Bruno Munari realizza una figura multistrato ad ampie bande di più colori, che si incrociano e si combinano suggerendo (prevalgono i toni cupi) le sbarre di una prigione.

Non deve sorprendere il fatto che l’opera trovi posto in una collana dedicata in prevalenza alla non-fiction: nei «Saggi» Einaudi sono state collocate, nel corso degli anni, anche le due opere maggiori di Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli (1945) e L’Orologio (1950), il già menzionato Diario di Anne Frank e alcuni libri più prossimi alla narrativa che alla saggistica, come America primo amore di Mario Soldati (1945) e Morte nel pomeriggio di Hemingway (1947). Più notevole, invece, il dettaglio della tiratura: appena duemila copie, cinquecento in meno rispetto all’originaria edizione De Silva. La cautela del nuovo editore si rivelerà eccessiva, perché l’opera va presto esaurita, ma si dovrà attendere fino al marzo 1960 per una ristampa. Da quel momento in poi, però, il cammino di Se questo è un uomo non si arresta più, non solo sul territorio italiano.

Una volta apparsa la nuova edizione Einaudi, Primo Levi comincia a lavorare con un giovane storico di origine ebraica giunto da Oxford a Torino nel 1956: Stuart J. Woolf. Levi lo incontra in casa di Leonardo De Benedetti, l’amico con il quale ha fatto il viaggio di ritorno da Auschwitz. Con Woolf, che sposerà una nipote di De Benedetti, Levi s’incontra due sere alla settimana in casa propria, per circa un anno, discutendo nei dettagli la versione inglese. Nella traduzione di Woolf, If This Is a Man esce nell’autunno del 1959 da una piccola casa editrice di New York, la Orion Press, e solo l’anno successivo nel Regno Unito, presso le edizioni André Deutsch con sede a Londra5Stuart Woolf, Tradurre Primo Levi, «Belfagor», LXIV, 6, 30 novembre 2009, pp. 699-705; Stuart J. Woolf, Translator’s Afterword, in The Complete Works of Primo Levi, a cura di Ann Goldstein, Liveright, New York 2015, vol. I, pp. 195-205. .

Se in un primo momento il titolo Se questo è un uomo è stato tradotto in inglese alla lettera, due anni più tardi, nel 1961, l’industria editoriale statunitense deciderà di cambiarlo: la ristampa paperback apparsa (ancora a New York) presso Collier viene reintitolata Survival in Auschwitz, con un sottotitolo che funge da sintesi e slogan: «The Nazi Assault on Humanity». Il motivo è lampante: assicura maggiore successo, già in quest’epoca, la parola Auschwitz inserita in un titolo, così come promette buone vendite il lieto fine implicito in «survival».

A molti decenni di distanza sarebbe poco proficuo contestare Survival in Auschwitz come titolo sbagliato: come un’etichetta ispirata a quell’ottimismo che gli europei tendono a considerare tipico del carattere nordamericano. Quel titolo è realmente fuori bersaglio, ma può essere utile capire perché sia anche, in qualche maniera, giustificabile. Benché frutto di un’esperienza limitata, Se questo è un uomo intende parlare dell’uomo in generale, dell’uomo di ogni tempo, laddove Survival in Auschwitz allude a una qualità che secondo gli americani (e non solo secondo loro) gli italiani possiedono in quanto popolo: la capacità di arrangiarsi, verbo autoctono intraducibile. Fu forse questo elemento che andava ben al di là della singola opera a indurre quella manipolazione editoriale, in un periodo in cui la letteratura, il cinema, le arti figurative e il design italiani attraversavano negli Stati Uniti una fase di particolare fortuna.

Una manipolazione ben più grave si verifica in Francia, dove il libro di Levi appare nel 1961 presso le edizioni parigine Buchet-Castel con il titolo J’étais un homme («Io ero un uomo»). Il testo è stato frainteso e rimaneggiato in più punti, in maniere spesso madornali. Levi riesce a ottenerne il ritiro dal commercio. Solo al principio del 1987 il titolo Si c’est un homme tornerà ad apparire in Francia, in una nuova versione e presso l’editore parigino Julliard.

 

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5. La traduzione tedesca: Ist das ein Mensch?

La traduzione di Se questo è un uomo che sopra ogni altra Primo Levi aspettava era quella in lingua tedesca: la lingua degli aguzzini, la lingua nella quale i fatti erano accaduti. Nel 1986 Levi ricostruisce così l’innesco della vicenda:

Se questo è un uomo è un libro di dimensioni modeste, ma, come un animale nomade, ormai da quarant’anni si lascia dietro una traccia lunga e intricata. […]

Del suo itinerario, una tappa è stata per me d’importanza fondamentale: quella della sua traduzione in tedesco e della sua pubblicazione in Germania Federale. Quando, verso il 1959, seppi che un editore tedesco (la Fischer Bücherei) aveva acquistato i diritti per la traduzione, mi sentii invadere da un’emozione violenta e nuova, quella di aver vinto una battaglia6Primo Levi, «Lettere di tedeschi», in I sommersi e i salvati (1986), in Opere complete cit., vol. II cit., p. 1253. .

Il brano si legge al principio di «Lettere di tedeschi», ottavo e ultimo dei capitoli che compongono l’opera di ripensamento compendiario I sommersi e i salvati. Le lettere di cui parla il titolo sono quelle che Levi riceverà in seguito alla pubblicazione in tedesco del suo primo libro. La vicenda che conduce a questo esito, così come il suo co-protagonista – il traduttore Heinz Riedt – meritano l’una e l’altro di essere descritti.

Heinz Riedt si presenta a Primo Levi con una lettera in ottimo italiano, datata 13 agosto 1959, informandolo che l’editore Fischer di Francoforte lo ha incaricato di tradurre in tedesco Se questo è un uomo:

la pubblicazione del Suo libro proprio in Germania […] mi sembra molto importante e necessaria. Spero di tutto cuore che abbia un successo non soltanto di tiratura, ma che penetri negli animi, che sia motivo di riflessione umana7La citazione proviene dalla porzione della corrispondenza Levi-Riedt conservata in fotocopia presso la Wiener Library di Londra, Ian Thomson Collection, «Papers re Primo Levi biography», fasc. 1406/2/22, Heinz Riedt. Si segnala tuttavia che il brano qui trascritto già si leggeva in un articolo di Giorgio Calcagno: Primo Levi e i tedeschi: un carteggio sconosciuto, «Tuttolibri - La Stampa», XIII, 549, 18 aprile 1987, p. 1; un breve stralcio è anche nelle Note ai testi redatte da Marco Belpoliti per l’edizione delle Opere di Levi da lui curata nel 1997 presso Einaudi (t. II, p. 1592). Lo si legge, infine, anche in Album Primo Levi, a cura di Roberta Mori e Domenico Scarpa, Einaudi, Torino 2017, p. 140.

Coetaneo di Levi, Riedt è figlio di un diplomatico, originario del Palatinato e di fede protestante; sua madre, cattolica, discende da una famiglia aristocratica olandese con ramificazioni in Francia. Ha vissuto tra Napoli e Palermo dai due ai dodici anni, poi è salito in Germania a studiare in un collegio di benedettini. Arruolato nel 1940 nell’esercito nazista, viene chiamato a lavorare come interprete nelle trattative dell’armistizio franco-tedesco. Questo compito gli ripugna, e trova un medico che gli certifica una malattia: ottiene così di trasferirsi in Italia per studiare Scienze Politiche. A Padova, dove giunge nel 1941 con una borsa di studio, ha tra i suoi docenti il giovane filosofo del diritto Norberto Bobbio e il latinista (nonché militante del partito comunista clandestino) Concetto Marchesi.

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Riedt entra in una banda partigiana di Giustizia e Libertà, la formazione politica di cui, negli stessi mesi, anche Primo Levi fa parte. Riedt non sarà impegnato in combattimento: si occuperà di collegamenti, di propaganda, di scambi di ostaggi. Quasi nessuno conosce la sua identità. Terminata la guerra gli verrà offerta la cittadinanza italiana, ma preferisce ritornare nella Germania Orientale, dove malgrado la militanza partigiana subirà l’accusa di aver tradito la sua nazione, ossia la Germania di Hitler. Gli sarà anche negata l’iscrizione al partito comunista, che peraltro non ha richiesto. Si stabilisce a Berlino Est, ma (il Muro non è stato ancora eretto) riceve la posta presso suo suocero, a Berlino Ovest; una volta all’anno gli è concesso di andare in vacanza in Baviera.

Riedt è un italianista esperto, traduttore di Ruzante e di Goldoni. Tra l’agosto del 1959 e il maggio 1960 il dialogo epistolare Levi-Riedt – diciannove lettere inframmezzate da un incontro in Germania – assume il carattere di un vero e proprio laboratorio linguistico. In «Lettere di tedeschi» Levi ha spiegato quale fosse durante quei mesi il suo obiettivo:

volevo che in quel libro, ed in specie proprio nella sua veste tedesca, niente andasse perduto di quelle asprezze, di quelle violenze fatte al linguaggio, che del resto mi ero sforzato del mio meglio di riprodurre nell’originale italiano. In certo modo, non si trattava di una traduzione ma piuttosto di un restauro: la sua era, o io volevo che fosse, una restitutio in pristinum, una retroversione alla lingua in cui le cose erano avvenute ed a cui esse competevano. Doveva essere, più che un libro, un nastro di magnetofono8Primo Levi, «Lettere di tedeschi», in I sommersi e i salvati (1986), in Opere complete cit., vol. II cit., p. 1257. .

Con la fedeltà acustica che esige dalla traduzione in corso, Levi desidera imporre ai tedeschi un tedesco – una lingua madre – che essi non possano capire del tutto, un tedesco che suoni al loro udito come una lingua straniera. Vuole che il tedesco deformato e degradato di Auschwitz corrisponda alla deformazione e degradazione morale che il Lager ha inflitto alle vittime così come agli aguzzini. Il titolo tedesco dell’opera gli verrà in aiuto. È uno dei casi in cui la lingua d’arrivo offre risorse insperate, rivelandosi più pregna rispetto alla lingua di partenza: Ist das ein Mensch? significa all’incirca, letteralmente: «È questo un essere umano?». Mensch è più ampio di uomo.

La sensazione di dissonanza, lo straniamento acustico che Levi desidera provocare nei lettori tedeschi dovrà insorgere dal fatto che il tedesco riprodotto in Ist das ein Mensch? è quasi uguale al tedesco ordinario; più che dallo scarto tra il Lagerjargon e la loro lingua madre, li colpirà la reciproca somiglianza. Il lettore tedesco del 1961 si accorgerà che il nazismo è lì, a breve distanza, che basta poco per caderci o ricaderci, e che la prossimità acustica di Auschwitz, restituita dalle pagine di Levi, è un pericolo permanente.

Nella traduzione di Heinz Riedt, Ist das ein Mensch? appare presso Fischer nel novembre del 1961.

Levi ne riceve le prime copie insieme con la prima lettera inviatagli da un lettore tedesco. È Wolfgang Beutin, giovane storico e sociologo che milita nel partito socialdemocratico. Prende l’avvio una corrispondenza che conterà alcune decine di interlocutori e che confluirà nel 1986, accompagnata dai commenti di Levi, nel già citato «Lettere di tedeschi», ultimo capitolo di I sommersi e i salvati9Per una ricostruzione completa di queste vicende si veda Martina Mengoni, Primo Levi e i tedeschi, Einaudi, Torino 2017, ora in Lezioni Primo Levi, a cura di Fabio Levi e Domenico Scarpa, Mondadori, Milano 2019, pp. 415-95. .

6. Un’opera multimediale

Anche al di là delle due versioni 1947 e 1958, Se questo è un uomo è un’opera che va trasformandosi nel corso del tempo. Come s’è visto, fin dal principio Levi è uno scrittore d’invenzione oltre che un testimone di Auschwitz: e da scrittore affronta, simultaneamente, i fatti e i linguaggi che occorre costruire per raccontarli. Levi conosce, in maniera più o meno approfondita, svariate lingue, dialetti e gerghi specialistici o popolari, e da anni lavora come tecnico specializzato e come traduttore di trattati scientifici (ma anche, privatamente, di poesie in versi). A partire dall’edizione definitiva del libro di esordio, la pubblicazione presso un editore prestigioso come Einaudi introduce nella sua vita un terzo mestiere accanto a quelli del chimico e dello scrittore: quello di chi narra l’esperienza del Lager ai ragazzi delle scuole, dialogando con loro e rispondendo alle loro domande.

I mezzi di comunicazione non sono un mistero per Levi, né sotto il profilo tecnico né per le possibilità espressive che offrono. A partire dagli anni sessanta la sua riflessione sulla materia e sul significato di Auschwitz, che non si è mai arrestata ed è in evoluzione continua, passa attraverso i mass media con cui la sua opera prima ormai s’incontra. Nel 1962 la Radio canadese di lingua inglese (CBC) sottopone a Levi una riduzione di Se questo è un uomo che all’autore piacerà al punto da indurlo a elaborare – due anni più tardi, e sulla stessa falsariga – una sceneggiatura radiofonica per il Centro di Produzione Rai di Torino. La registrazione avviene in esterni a Brozolo, un villaggio della collina torinese, e va in onda sul Terzo Programma il 24 aprile 1964 per la regia di Giorgio Bandini, tra i primi in Italia a portare Beckett sulla scena. L’attore che ha interpretato il ruolo di Alberto (si fa chiamare Pieralberto Marché, ma il cognome all’anagrafe è Marchesini) propone a Levi di realizzare anche una versione teatrale del suo libro. Levi si lascia convincere solo a metà: prepari Marché una scaletta, lui interverrà in una seconda fase.

L’intervento d’autore risulterà massiccio quanto innovativo. La versione teatrale di Se questo è un uomo è un’opera ancora diversa da quelle del 1947 e del 1958. Cambia lo spazio destinato ad alcuni personaggi, e vengono inseriti episodi assenti nel testo originario. Soprattutto, il copione ha un tema-base che vent’anni più tardi, nei Sommersi e i salvati, sarà al centro del capitolo «Comunicare»:

Marché ed io abbiamo cercato di trasformarlo soprattutto nel dramma della mancata comunicazione tra i deportati. Chi giungeva ad Auschwitz si trovava non solo in un mondo ostile, ma in un mondo di cui non capiva nulla, perché non c’era un linguaggio comune10g.d.c. [Giuseppe Del Colle], Attori di sette nazioni per il dramma su Auschwitz, intervista a Primo Levi, «La Stampa», 17 novembre 1966, p. 4; poi in Gabriella Poli e Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi, Mursia, Milano 1992, p. 44. .

Firmata da Levi e Marché, la versione drammatica di Se questo è un uomo è un nuovo episodio della storia «curiosa ed istruttiva» (parole di Levi nella Nota al testo11 Primo Levi, Nota, in Se questo è un uomo, versione drammatica di Pieralberto Marché e Primo Levi, Einaudi, Torino 1966, pp. 5-8; la si legge ora in Opere complete cit., vol. I, cit., 1195-97, citazione a p. 1195. ) che si va svolgendo intorno al suo libro d’esordio. Programmata per il 9 novembre 1966 al Metastasio di Prato, la prima rappresentazione dovrebbe concludere la II Rassegna internazionale dei Teatri Stabili. È, in quegli anni, uno dei maggiori appuntamenti del teatro di ricerca, ma sarà cancellato a causa dell’alluvione che il 4 novembre devasta Firenze. Il debutto avverrà il 19 novembre al Teatro Carignano di Torino. La regia è di Gianfranco De Bosio; della compagnia fanno parte attori provenienti stabili di Austria, Francia, Israele, Polonia e Ungheria: i suoi 53 elementi appartengono a sette diverse nazionalità. L’anno successivo, Se questo è un uomo otterrà il premio IDI Saint-Vincent come migliore testo della precedente stagione teatrale12Un’ampia documentazione iconografica e testuale su questi spettacoli è nel citato Album Primo Levi, pp. 221-23 e 250-51. .

La versione teatrale di Se questo è un uomo esce da Einaudi in un volumetto a sé; nella prefazione Levi si paragona – per la prima volta pubblicamente – a un celebre personaggio della letteratura inglese:

ho cominciato a raccontare prima ancora di essermi saziato di cibo, e non ho ancora finito adesso. Ero diventato simile al vecchio marinaio della ballata di Coleridge, che artiglia per il petto, in strada, i convitati che vanno alla festa, per infliggere loro la sua storia sinistra di malefizi e di fantasmi13Primo Levi, Nota cit., in Se questo è un uomo, versione drammatica cit., in Opere complete cit., vol. I, cit., p. 1196.

 

Nel 1973 Einaudi pubblica un’edizione di Se questo è un uomo per gli studenti delle scuole medie, con presentazione e note dell’autore. Levi aggiunge una breve bibliografia di «Opere generali sul nazionalsocialismo e sulla questione ebraica», e due mappe: la prima, dove i confini segnati sono quelli del 1938, mostra la Germania nazista e i suoi campi di concentramento, («Come si vede, numerosi campi si trovavano nei territori occupati, durante la seconda guerra mondiale»), mentre la seconda presenta «La regione di Auschwitz e i campi che dipendevano amministrativamente da quest’ultimo (i confini sono quelli del 1939)»14La Prefazione 1972 ai giovani e le note d’autore sono state ristampate nelle Opere complete cit., vol. I cit., pp. 1407-21, mentre le mappe sono riprodotte in Album Primo Levi cit., pp. 150-51. .

Nel 1976 Levi aggiungerà all’edizione scolastica una ulteriore Appendice, dove risponde alle domande più ricorrenti che gli vengono poste dai suoi lettori, soprattutto dai ragazzi delle scuole dove va a raccontare la propria esperienza. A partire dal 1979 l’Appendice viene stampata in tutte le edizioni dell’opera. Questa Appendice 1976 si può considerare come uno tra i nuclei di riflessione intorno ai quali va concrescendo l’ultima opera di Levi, I sommersi e i salvati, ma anche sul libro «primogenito» Levi non smette di riflettere. Nel 1985, quando la scrittrice australiana Germaine Greer gli chiede di pronunciarsi sulla qualità letteraria di Se questo è un uomo, Levi si lascia andare a una confessione:

durante questi quarant’anni ho costruito una sorta di leggenda attorno a quest’opera, affermando che l’ho scritta senza alcuna pianificazione, di getto, senza meditarci sopra.

Le altre persone con le quali ho parlato di questo libro hanno accettato la leggenda. In realtà, la scrittura non è mai spontanea. Ora che ci penso, capisco che questo libro è colmo di letteratura, letteratura che ho assorbito attraverso la pelle anche quando la rifiutavo e la disdegnavo (giacché sono sempre stato un cattivo studente di letteratura italiana). Preferivo la chimica. Mi annoiavano le lezioni di teoria poetica, la struttura del romanzo e roba del genere. Quando fu il momento e dovetti scrivere questo libro, e allora avevo davvero un bisogno patologico di scriverlo, trovai dentro di me una sorta di “programma”. E si trattava di quella stessa letteratura che avevo studiato più o meno con riluttanza, di quel Dante che ero stato costretto a leggere alla scuola superiore, dei classici italiani e cosi via15Germaine Greer Talks to Primo Levi, «Literary Review», 89, novembre 1985, pp. 15-19; trad. it.: Colloquio con Primo Levi, in Primo Levi, Opere complete cit., vol. III cit., pp. 568-77, a p. 570. .

 

Il conclusivo «e così via» sottintende un elenco di fonti: le più importanti sono la Divina Commedia e la Bibbia (l’Antico Testamento, più una sorprendente quantità di citazioni dai Vangeli). La guida ideale per questa indagine è l’edizione commentata di Se questo è un uomo, curata nel 2012 per Einaudi da Alberto Cavaglion.

7. Un’opera universale

Se questo è un uomo è dunque un libro che racconta un’esperienza d’interesse universale e che è stato scritto sullo sfondo di una cultura, non solo letteraria, ugualmente vasta. Non sorprende perciò che a cinquant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, nel 1995, il «Times Literary Supplement» lo abbia incluso in un elenco dei cento libri più importanti pubblicati nel mondo dopo il 1945. I titoli italiani inclusi sono tre in tutto: oltre ai Quaderni del carcere di Gramsci vi si trova anche I sommersi e i salvati.

Scorrendo l’elenco del «TLS» si potrà notare che Se questo è un uomo è stato collocato fra le opere degli anni cinquanta, senza cioè tenere conto della sua prima edizione 194716Della circostanza discutono Massimo Bucciantini e Domenico Scarpa in Esperimento Auschwitz. Presentazione della seconda Lezione Primo Levi, Salone del Libro, Torino, 12 maggio 2011. .

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Presentazione di "Esperimento Auschwitz"

In occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino, il 12 maggio 2011 è stato presentato Esperimento Auschwitz, il volume di Massimo Bucciantini tratto dalla seconda Lezione Primo Levi e pubblicato da Einaudi in edizione bilingue italiano/inglese.

A meno di tre anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, Primo Levi seppe raccontare Auschwitz al mondo intero con un equilibrio irripetibile di attenzione e di nerbo culturale, di empatia e distacco. Si sente spesso affermare che gli orrori del Lager sono indicibili e indescrivibili, senza considerare l’aumento di dicibilità di cui i lettori di tutto il mondo dispongono appunto grazie all’opera di Levi: alla sua densità di significati, al suo patrimonio di personaggi, vicende e immagini, a una varietà di proposizioni morali che sorprendono e turbano, e che non si finisce mai di estrarre da quelle pagine così ingannevolmente limpide. Se questo è un uomo è tradotto, a tutt’oggi, in oltre quaranta lingue.


1Primo Levi, Anniversario, «Torino. Rivista mensile della città», XXXI, 4, aprile 1955, numero speciale dedicato al decennale della Liberazione, pp. 53-54; ora in Id., Opere complete, a cura di Marco Belpoliti, vol. I, Einaudi, Torino 2016, pp. 1291-93, a p. 1291.
2Lina Zargani, Il sistema periodico, intervista a Primo Levi (primavera 1975), «Lettera internazionale», XXIII, 93, terzo trimestre 2007; ora, con testo riveduto sul dattiloscritto originale dell’autrice, in Opere complete cit., vol. III, Conversazioni, interviste, dichiarazioni, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino 2018, pp. 913-16, a p. 913.
3I verbali del mercoledì. Riunioni editoriali Einaudi, 1943-1952, a cura di Tommaso Munari, Einaudi, Torino 2011, pp. 426-30, a p. 428.
4Giovanni Tesio, Su alcune giunte e varianti di «Se questo è un uomo» (1977), in Id., Piemonte letterario dell’Otto-Novecento. Da Giovanni Faldella a Primo Levi, Bulzoni, Roma 1991, pp. 173–96; Marco Belpoliti, Note ai testi, in Primo Levi, Opere complete cit., vol. I cit., pp. 1460-79.
5Stuart Woolf, Tradurre Primo Levi, «Belfagor», LXIV, 6, 30 novembre 2009, pp. 699-705; Stuart J. Woolf, Translator’s Afterword, in The Complete Works of Primo Levi, a cura di Ann Goldstein, Liveright, New York 2015, vol. I, pp. 195-205.
6Primo Levi, «Lettere di tedeschi», in I sommersi e i salvati (1986), in Opere complete cit., vol. II cit., p. 1253.
7La citazione proviene dalla porzione della corrispondenza Levi-Riedt conservata in fotocopia presso la Wiener Library di Londra, Ian Thomson Collection, «Papers re Primo Levi biography», fasc. 1406/2/22, Heinz Riedt. Si segnala tuttavia che il brano qui trascritto già si leggeva in un articolo di Giorgio Calcagno: Primo Levi e i tedeschi: un carteggio sconosciuto, «Tuttolibri - La Stampa», XIII, 549, 18 aprile 1987, p. 1; un breve stralcio è anche nelle Note ai testi redatte da Marco Belpoliti per l’edizione delle Opere di Levi da lui curata nel 1997 presso Einaudi (t. II, p. 1592). Lo si legge, infine, anche in Album Primo Levi, a cura di Roberta Mori e Domenico Scarpa, Einaudi, Torino 2017, p. 140.
8Primo Levi, «Lettere di tedeschi», in I sommersi e i salvati (1986), in Opere complete cit., vol. II cit., p. 1257.
9Per una ricostruzione completa di queste vicende si veda Martina Mengoni, Primo Levi e i tedeschi, Einaudi, Torino 2017, ora in Lezioni Primo Levi, a cura di Fabio Levi e Domenico Scarpa, Mondadori, Milano 2019, pp. 415-95.
10g.d.c. [Giuseppe Del Colle], Attori di sette nazioni per il dramma su Auschwitz, intervista a Primo Levi, «La Stampa», 17 novembre 1966, p. 4; poi in Gabriella Poli e Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi, Mursia, Milano 1992, p. 44.
11 Primo Levi, Nota, in Se questo è un uomo, versione drammatica di Pieralberto Marché e Primo Levi, Einaudi, Torino 1966, pp. 5-8; la si legge ora in Opere complete cit., vol. I, cit., 1195-97, citazione a p. 1195.
12Un’ampia documentazione iconografica e testuale su questi spettacoli è nel citato Album Primo Levi, pp. 221-23 e 250-51.
13Primo Levi, Nota cit., in Se questo è un uomo, versione drammatica cit., in Opere complete cit., vol. I, cit., p. 1196.
14La Prefazione 1972 ai giovani e le note d’autore sono state ristampate nelle Opere complete cit., vol. I cit., pp. 1407-21, mentre le mappe sono riprodotte in Album Primo Levi cit., pp. 150-51.
15Germaine Greer Talks to Primo Levi, «Literary Review», 89, novembre 1985, pp. 15-19; trad. it.: Colloquio con Primo Levi, in Primo Levi, Opere complete cit., vol. III cit., pp. 568-77, a p. 570.
16Della circostanza discutono Massimo Bucciantini e Domenico Scarpa in Esperimento Auschwitz. Presentazione della seconda Lezione Primo Levi, Salone del Libro, Torino, 12 maggio 2011.