Lars Norén e Primo Levi

Intervista al grande drammaturgo svedese con note sulla ricezione critica del suo adattamento di Se questo è un uomo*

Lars Norén (1944-) è uno dei più apprezzati drammaturghi svedesi; considerato, in patria, l’erede di August Strindberg e Ingmar Bergman, ha raggiunto un’ampia notorietà internazionale. I suoi spettacoli sono stati  rappresentati in vari paesi, tra cui l’Italia.

Ha inoltre pubblicato numerose opere di poesia (la prima a soli diciannove anni) e due Diari che in Svezia hanno suscitato molte polemiche per i loro commenti corrosivi sulla vita intellettuale del paese. Norén si è occupato spesso dell’umanità ai margini (tossicodipendenti, malati di mente, prostitute, criminali), con opere non di rado provocatorie.

Abbiamo incontrato il drammaturgo a Stoccolma, per parlare del suo adattamento di Se questo è un uomo, che nel 2000 è stato presentato in diverse città svedesi, attirando, al regista e al protagonista, Michael Nyqvist, minacce da parte di gruppi nazisti, al punto che i due si sono chiesti se non fosse il caso di sospendere la rappresentazione (Intervista a LN, 2013).

L’esistenza dei campi di concentramento è una costante dell’opera di Norén sin dagli anni Sessanta (Van Reis 2000); il drammaturgo racconta:

Dipende forse anche dal fatto che a scuola avevo un insegnante che aveva aiutato degli ebrei a fuggire dalla Danimarca, e ne parlava con grande intensità; questo su di me esercitò una profonda impressione. Poi ho letto, quando avevo 12-13 anni, molti libri sull’argomento, resoconti di processi e diari di sopravvissuti, soprattutto norvegesi e danesi, e anche queste letture hanno lasciato il segno su di me. Aggiungo che quando ero bambino, quando avevo 8-9 anni, la memoria della contrapposizione che si era registrata, in Svezia, fra socialisti e simpatizzanti del nazismo era ancora molto viva.

Intervista a Lars Norén, a cura di Monica Quirico, Stoccolma, 26/11/2013.

Norén spiega poi l’influsso che ha esercitato sulla sua formazione intellettuale la filosofia tedesca, e in particolare Heidegger, ma anche Paul Celan, nel cui linguaggio ravvisa “grandi affinità” con quello di Primo Levi. Il drammaturgo ha letto per la prima volta Se questo è un uomo quando è uscita la traduzione svedese (1988, Bonnier), con il titolo È questo un uomo?.

Penso che sia una domanda terribile, commenta Norén; ma è chiaro che quello di cui si parla è un essere umano. Sono gli altri, quelli che muovono guerra alle persone, a essere estranei all’umanità.

“Landskrona Posten”, Detta är en människa! 07-02-2009, p. 6, Sezione: Kultur.

Si noti che il drammaturgo ha preferito attenersi al titolo originale dell’opera, anziché riprendere la formulazione interrogativa dell’edizione svedese.

A colpire Norén, del testo leviano, è stato lo stile pacato, concreto, nonostante la spietatezza di ciò che viene descritto:

Non capisco come si possa colpire a tal punto un essere umano senza stabilire con lui alcuna relazione, senza rabbia, bensì in modo meccanico.

Hanson, H.I, ”Sann återgivning av Levis bok”, Svenska Dagbladet, 09-10-2000, p.13.

L’idea di portare a teatro la testimonianza di Levi è venuta all’attore Mikael Nyqvist (che considera lo scrittore torinese “uno dei più grandi umanisti del nostro tempo”; Höök 2000). Quando ne ha parlato con Norén, il regista ha accolto la proposta con entusiasmo (Råde 2000). Norén rammenta di aver parlato a lungo con Nyqvist del libro, quando si sono messi a discutere di un prossimo spettacolo a cui lavorare congiuntamente (i due avevano già lavorato insieme in più occasioni, ad esempio in Personkrets 3:1, 1998). L’adattamento del testo ha richiesto mesi:

Affittammo [Nyqvist e io] un appartamento in Vasastan [il quartiere di Stoccolma più amato dagli intellettuali], lo svuotammo di tutto e attaccamo sulla porta il cartello: “Primo Levi”.

Höök, G. ”Krävande pjäs om att förbli människa”, Göteborgs-Posten, 05-10-2000, p. 51.  

Il drammaturgo racconta del panico iniziale di Nyqvist, che temeva di non ricordare integralmente il testo, ma che poi non ha nemmeno avuto bisogno dell’auricolare (Intervista a LN, 2013).

La prestazione dell’attore è stata concordemente elogiata dai critici, che ne hanno messo in rilievo la capacità di rimanere immobile per tutta la durata della rappresentazione (oltre 2 ore, interrotte da un solo intervallo di un quarto d’ora), con le mani davanti al ventre, una sopra l’altra, concedendosi solo qualche breve pausa per dissetarsi o detergersi il sudore (Schwartz 2000).

La riflessione alla base di tale scelta scenica è evidente: il peggior crimine contro l’umanità non può essere “rappresentato” (Landskrona Posten 2009); del resto, Norén dichiara:

Quello che mi ha impressionato di più dell’opera leviana [oltre a Se questo è un uomo, il drammaturgo ha letto anche I sommersi e i salvati e Il sistema periodico]è la consapevolezza, maturata presto, che i sopravvissuti, una volta tornati a casa, non sarebbero stati creduti. Credo che questa sia le lezione più importante dei libri di Levi.

Råde, L., "Jag har känt mig som en kopieringsapparat", Expressen 05-10-2000, p. 402.

È appunto la coscienza dell’”irrapresentabilità” dell’accaduto che spinge Norén a scegliere una forma di anti-teatro: il corpo del protagonista risulta spogliato del contesto teatrale; nessun movimento sulla scena, solo una voce narrante. Tale monotonia acquista nondimento un suo preciso significato  (Van Reis 2000).

Un critico ha scritto: “No, questo non è ciò che ci si aspetta a teatro. Tuttavia ciò che ascoltiamo non è neppure una conferenza e nemmeno una lettura. Si tratta di una testimonianza, benché senza interrogatorio” (Schwartz 2000).

L’allestimento di Norén e l’interpretazione di Nyqvist del testo leviano puntano in primo luogo a preservarne il tono controllato e obiettivo. Da qui l’assenza di gesti, di mimica, di espressioni colloquiali; solo il racconto diretto, in tono pacato, con pause irregolari, inserite quasi con esitazione, come unico segno che il racconto è marcato nell’intimo dalle atrocità di cui il narratore è stata testimone (Schwartz 2000). La fisicità dell’attore risulta, per così dire, ridotta ai minimi termini, quelli di un volto che parla (Van Reis 2000). Norén conferma che c’è stato un grosso lavoro proprio sul piano fisico, passato anche per il dimagrimento di venti chili dell’attore, e aggiunge:

La difficoltà maggiore per Mikael è stata quella di non mettere troppe emozioni [nella sua interpretazione], ma di mantenere lo stesso tono del testo.

Schwartz, N., ”Är detta teater?”, Expressen, 07-10-2000, p. 4, Sezione: Kultur.

Nyqvist ha confessato di essersi sentito, a tratti, come una sorta di fotocopiatrice (un’osservazione, questa, che ben riflette l’aderenza al testo della rappresentazione): lo scopo, spiega, era quello di minimizzare la sua personalità di attore e tutto ciò che di figurativo poteva esserci sul palco, per far parlare il racconto stesso (Råde 2000). Mai si è visto, nella storia del teatro svedese, un allestimento così ascetico, che viene “interrotto” solo dalla proiezione, sul fondale di tela grezza della spoglia scena, dei versi (in italiano, letti in svedese da una voce femminile) della Divina commedia che Levi cerca di insegnare a Jean; è, questo, l’unico ausilio “visivo” della rappresentazione (Hanson 2000). A questo proposito, Norén riferisce un episodio degno di nota:

Incontrai Pikolo a Strasburgo, anni dopo lo spettacolo, e mi raccontò quanto fosse importante per Primo Levi parlare della Divina commedia e di Dante.

Van Reis, M., ”Ett enda talande ansikte”, Göteborgs-Posten, 07-10-2000, p. 54.

Il drammaturgo enfatizza come il testo leviano, che egli ha scelto di rendere in forma di monologo – né poteva essere altrimenti, chiarisce Norén – sia nondimeno ricco di immagini, perciò era più che sufficiente in sé stesso (Intervista a LN, 2013).

La fedeltà al testo è stata lodata da tutti i critici; non sarebbe corretto, è stato scritto, parlare di un grande spettacolo nel senso tetrale del termine; né, del resto, era questa l’intenzione. Piuttosto, bisogna riconoscere che si tratta del più corretto adattamento teatrale dell’opera leviana che fosse possibile proporre (Hanson 2000).  

 

* Ringrazio Laura Petri, che ha organizzato il mio incontro con Lars Norén, cui ha partecipato insieme con Camilla Bardél; entrambe insegnano italiano all’Università di Stoccolma.

 


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