Primo Levi alla Siva

La Siva, Società industriale vernici e affini, viene fondata il 10 febbraio 1945 da Federico Accati, imprenditore biellese, insieme a un socio più anziano, Osvaldo Gianotti. Inizialmente la sede dell'azienda è in una zona periferica di Torino, in corso Regina Margherita 274. Al momento dell'assunzione di Primo Levi, nel 1948, la Siva è una fabbrica di piccole dimensioni, con circa una decina di dipendenti tra operai, chimici e impiegati, e sistemi di produzione ancora molto artigianali.

Secondo un aneddoto poi ripreso da Primo Levi in La chiave a stella, uno degli operai, Sante Fracas, nei campi dietro alla fabbrica, si occupava durante la notte di far bollire l’olio di lino, un componente per la produzione delle vernici, e per valutarne la temperatura vi immergeva delle fette di cipolla: se la cipolla sfrigolava, la temperatura era quella giusta.

Inizialmente la produzione è orientata essenzialmente alle vernici per l'edilizia; invece all'inizio degli anni Cinquanta Primo Levi e gli altri chimici della Siva lavorano alla produzione del polivinilformale (Pvf), un componente fondamentale per la produzione di vernici isolanti per fili elettrici. Il Pvf sarebbe rimasto a lungo il prodotto più importante della Siva. Anche grazie a quella produzione gli anni Cinquanta si rivelano un periodo di grande espansione.

Nel 1953 la fabbrica viene trasferita nella sede definitiva, in via Leinì 84 a Settimo Torinese. La vicinanza dell'uscita dell'autostrada per Milano e la presenza di larghi spazi in cui espandersi costituiscono le basi per i futuri progressi dell’azienda. Nello stesso anno Primo Levi assume il ruolo di direttore tecnico dell'azienda.

In questo periodo Accati acquista un'altra società, la Scet, che produce fili conduttori di rame. Insieme alla Sicme, produttrice di macchine per smaltare fili elettrici – rilevata nel 1955 –, e più avanti alla Somecrov impegnata nella trafilatura di fili di rame, si compie un vero e proprio processo di integrazione verticale.

Il numero dei dipendenti cresce fino a superare, negli anni Sessanta, le cento unità. Si sviluppano intensi rapporti commerciali con aziende come la Bayer e la Siemens, che portano Primo Levi a visitare più volte la Germania, anche in compagnia di Accati.

Nel 1966 Primo Levi viene promosso da direttore tecnico a direttore generale. In questo periodo l’azienda comincia a intrattenere rapporti commerciali con imprese russe, aumentando di molto il proprio giro d'affari. Levi visita l’Urss tre volte. Tuttavia, a partire dal 1973, Primo Levi decide di lasciare la Siva. In pensione dal 1974, continua a lavorare a tempo ridotto come consulente, per facilitare la transizione. Il 1° settembre 1977 termina anche il rapporto di consulenza e Primo Levi lascia definitivamente l’azienda.

Intorno alla metà degli anni Settanta, anche a causa della crisi petrolifera, la Siva conosce un momento di difficoltà. Va poi ricordato l’avvicendamento al vertice, con il ritiro di Federico Accati e, successivamente, la nomina ad amministratore delegato della figlia Paola. Federico Accati morirà poi il 9 maggio 1989, all'età di 76 anni.

Nel 1996, in società con una compagnia cinese, la Siva costruisce una fabbrica in Cina, nella città di Tong Ling, cinquecento chilometri a nord-ovest di Shangai; nel 1998 viene però ceduta a una società tedesca, l'Altana. Nel 1999, quest'ultima sposta la produzione in un altro stabilimento di proprietà, ad Ascoli Piceno, chiudendo definitivamente la fabbrica di Settimo.

La due palazzine che a Settimo ospitarono laboratori e uffici, e una parte degli stabili, sono ancora esistenti.

(Con la consulenza di Paola Accati e Renato Portesi)

Libri di laboratorio

I "libroni neri", come venivano chiamati, sono i due registri di laboratorio della Siva attualmente dislocati presso il Centro internazionale di studi Primo Levi. Si tratta di documenti di grande interesse, perché dal loro studio è possibile ricostruire molti aspetti del lavoro quotidiano condotto nell’azienda di Settimo Torinese in cui Primo Levi ha prestato la sua opera fra gli anni Quaranta e gli anni Settanta.

L'arco temporale cui si riferiscono i due libri è in parte analogo: il primo, più piccolo per dimensioni e di circa 250 pagine non numerate, va dal 1954 al 1978; il più grande, di 384 pagine numerate, comincia nel 1955 e risulta compilato molto di frequente fino al 1961, quando le annotazioni si fanno sempre più rare, tanto che al periodo fra il 1962 e il 1971 sono dedicate solo dieci pagine.

Le annotazioni, le formule, le prove di laboratorio risultano spesso riportate sui registri in modo discontinuo e non sistematico da chimici diversi. Il libro più grande mostra però una netta prevalenza della grafia di Primo Levi. Quanto ai contenuti, esso sembra contenere un maggior numero di formulazioni originali, anche se è difficile stabilire tra i due registri una netta distinzione di argomenti.

Ogni altra considerazione è rinviata a un lavoro di ricerca più sistematico. Qui di seguito riportiamo alcune pagine in cui compare la scrittura di Primo Levi. I libri di laboratorio sono consultabili per intero presso l'archivio del Centro.

(Con la consulenza di Paola Accati e Renato Portesi)

Immagine libro Siva

 

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Interviste

Sono qui raccolte alcune testimonianze di persone che hanno lavorato alla fabbrica Siva di Settimo nel periodo in cui Primo Levi aveva responsabilità di direzione. Di seguito sono disponibili una breve scheda per ogni intervistato e alcuni estratti di ogni intervista. Le registrazioni complete sono consultabili presso l'archivio del Centro.

Elio Azzalin

Operaio alla Siva dal 1976 al 1999. Cresciuto in una casa a pochi passi dal cancello della Siva, era addetto alla manutenzione. Data dell'intervista: Settimo Torinese, 10 febbraio 2009.

«Io sono entrato alla Siva quando avevo sedici anni, ma non come dipendente Siva, come dipendente di un artigiano, un esterno, che si chiamava Strozzi Valter. Ero un ragazzo, aiutante elettricista. [...] Dopo qualche anno che sono rimasto lì come artigiano mi hanno assunto, nel ’76 mi sembra, e sono diventato dipendente Siva a tutti gli effetti, rimanendo fino alla chiusura definitiva, nel ’99. Facevo manutenzione elettrica e meccanica. Ma ancora prima di essere assunto, da ragazzo, essendo che mio padre lavorava lì, e che abbiamo abitato sempre vicino, frequentavo già la Siva, almeno nell’ambito della portineria. Alla domenica andavo lì dai custodi, che almeno avevano la televisione, mentre noi non l’avevamo. Mi avevano un po’ adottato... Quando ho fatto la comunione sono venuti anche loro. Per questo io la conoscevo già, la Siva. E caso volle che finii anche a lavorare lì dentro.

Una volta era arrivato un diluitore nuovo, che è imploso. Allora siamo andati noi dell’officina meccanica a esaminare come mai. Si esaminavano gli scarichi dell’acqua, perché poteva essere lo scarico che non funzionava. Allora c’era anche Primo Levi a esaminare tutte queste cose, per vedere se c’era qualcosa collegato male, anche lui era lì, partecipava, guardava, mi faceva “Prendi la pila, che guardiamo se c’è qualche otturazione nel tubo”... Era interessato anche lui, tra virgolette come uno di noi. Non ci faceva pesare il suo ruolo. E noi non è che credevamo di avere questo grande personaggio tra noi, come invece è venuto fuori dopo».

Trascrizione e redazione a cura del Centro internazionale di studi Primo Levi. 

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Vilme Cappelli

Operaio, in azienda per trentaquattro anni, dal 1960 fino alla pensione, maturata nel 1994. Data dell'intervista: Settimo Torinese, 4 marzo 2009.

«Ho cominciato nel 1960, e ho lavorato fino al 1994. Trentaquattro anni. Prima di entrare alla Siva ho fatto il fattorino, quando sono venuto a Torino dalla provincia di Ferrara nel ’56, per una ditta di carte da gioco. Poi da lì ho fatto per un periodo il panettiere, e poi tramite la signora Tambini sono riuscito a entrare alla Siva, e lì sono rimasto fino a quando sono andato in pensione. Quando sono entrato io la fabbrica era proprio un disastro: non c’erano maschere, non c’era niente, gli odori erano veramente brutti, noi ci cambiavamo in fabbrica, ci facevamo la doccia, e non potevamo portare fuori la roba dalla Siva perché era inquinante. Eravamo circa un centinaio a lavorare. Non c’erano tutti i macchinari che ci sono adesso, e si lavorava tutto a mano. Se si dovevano preparare i barattoli, c’era quello che li riempiva, quello che inscatolava, quello che attaccava le etichette... Solo dopo abbiamo cominciato ad ingrandirci, a fare le cose in automatico, ma all’epoca eravamo davvero pochi.

Io ho fatto la quinta elementare. Era un periodo in cui avevano messo questo nuovo impianto, che chiamavamo castello, e mi avevano insegnato come funzionava. Quel castello io lo facevo andare avanti a occhi chiusi. E io infatti ero il maestro di tutti, quando assumevano uno al castello chiamavano me per insegnargli. Un giorno si presenta Primo Levi, con il disegno dell’installazione in mano, e dice “Cappelli, vieni in ufficio con me”. Voleva sapere come funzionava il castello, allora gli ho detto: “Dottore, se vuole sapere come funziona, venga su all’ultimo piano con me, e mano a mano che viene giù io le spiego come funziona. Lui mi ha risposto: “Cappelli, non so la pratica come lavorate voi, conosco solo il disegno”. Ma io sapevo fare andare avanti il castello, ma il disegno non lo capivo».

Trascrizione e redazione a cura del Centro internazionale di studi Primo Levi.

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Francesco Cordero

Chimico, assunto nel 1957, ha lavorato nel laboratorio della Siva fino al 1972. Data dell'intervista: Quattordio, 3 aprile 2009.

«Siccome sapevo che Levi si era interessato un po’ a me, allora sono andato a casa sua, in corso Re Umberto, per fare, diciamo così, dei colloqui di lavoro. Alla fine mi ha detto: “Guarda, io scriverò bene, però tu con le vernici sei molto molto pratico, quindi andremo d’accordo".

Se avesse avuto l’orgoglio di una persona normale, sarebbe stato uno da premio Nobel, come studio sui prodotti nuovi. È che a lui non interessava. Aveva talento, ma bisognava avere anche un po’ di orgoglio. Lui non dava importanza a essere qualcuno per gli altri. [...] Più che insegnarmi, le cose le facevamo assieme. Alla Siva non c’era un capo, si era tutti amici.

Con gli anni vennero introdotte molte apparecchiature nuove, l’apparecchio per l’analisi dei prodotti non c’era, e si faceva tutto empiricamente, voglio dire, non con apparecchiature modernissime. Si misuravano l’acidità, il punto di fusione, cioè a che temperatura fondeva, la resistenza termica, la resistenza chimica, la resistenza meccanica. Erano prodotti... non erano vernici normali, erano vernici per isolamento elettrico, erano più difficili delle altre. Erano su un piano superiore».

Trascrizione e redazione a cura del Centro internazionale di studi Primo Levi

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Virgilio Pecchio

Impiegato. Assunto come centralinista nel 1960, poi responsabile dell'ufficio acquisti. Ha lasciato l'azienda nel 1980. Data dell'intervista: Brandizzo (TO), 10 marzo 2009.

«Dunque, io entrai alla Siva a sedici anni. Mi fece entrare la signora Franca Tambini, come centralinista, per conoscenza, e rimasi alla Siva fino al 1980. Nel corso di questi anni ho fatto la mia piccola carriera, sono diventato responsabile dell’ufficio acquisti, ed ero quindi a contatto con Primo Levi, che essendo direttore di fabbrica si interessava un po’ a tutto. Con lui sono andato qualche volta in giro, alla Esso o alla Montedison, per fare grossi contratti. Era un uomo di estrema modestia. Ricordo che mi fece arrossire un giorno che eravamo in macchina e stavamo andando a Milano. Io gli dissi “Guardi, dottore, parli lei, io sto muto come un pesce, la sento”. E mi ricordo la risposta, che è stata una cosa incredibile: “No, guardi, lei è molto più bravo di me. Parli lei".

Lui era un chimico, fondamentalmente era un uomo di laboratorio. Non è una critica quello che sto per dire, ma non era molto portato per il comando del personale, cioè non rientrava nei suoi schemi, insomma. Infatti, uno dei motivi per cui lui si allontanò fu il fatto che si creò un sindacato. Una persona, un perito, si mise a capo degli operai, giustamente insomma, per fare gli interessi degli operai, e a questo punto Levi era tagliato fuori. Non riusciva a concepirlo, non era preparato insomma per queste cose. Lui conosceva molto bene il suo lavoro, ma delle cose di cui non si sentiva sicuro, secondo me, non era interessato».

Trascrizione e redazione a cura del Centro internazionale di studi Primo Levi.

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Michael Tinker

Chimico. Responsabile di produzione e poi direttore di stabilimento tra il 1973 e il 1979. Data dell'intervista: Torino, 19 dicembre 2008.

«Ho incontrato la mia prima moglie in Inghilterra, a un corso di spettrometria, ci siamo sposati e abbiamo vissuto due anni in Inghilterra. Poi suo padre, il signor Accati, che era il proprietario della Siva e di altri due o tre stabilimenti qua a Torino, mi chiese di venire qua a lavorare, dal momento che io ero un chimico e questo era uno stabilimento chimico. Ho resistito per due anni, perché mi sembravano troppi cambiamenti insieme, con il matrimonio. Ma poi la ditta per cui lavoravo a Londra mi voleva trasferire a Doncaster, che è un posto un po’ industriale, e ho deciso che invece di andare a Nord dell’Inghilterra sarei venuto a sud d’Europa. Ho cominciato a lavorare qua nell’estate del 1973. Quando arrivai non parlavo neanche l’italiano. Per un po’ di tempo sono stato lì a imparare la lingua e a conoscere lo stabilimento, poi sono stato responsabile di produzione e poi direttore di stabilimento.

Una volta eravamo a una cena con due rappresentanti inglesi, e stavamo mangiando polenta. L’inglese ha chiesto “è molto buona, di cosa è fatta?” E Levi che voleva rispondere granturco, mais, in inglese ha risposto “mice”, che significa topi. E quest’inglese è sbiancato, pensava di mangiare qualche miscuglio a base di topo».

Trascrizione e redazione a cura del Centro internazionale di studi Primo Levi.

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